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Jihadismo, radicalizzazione e … dintorni

Criticita’ epistemologiche ed analitiche –  la “counter-ideology”

di Giuseppe Santomartino*

Noi non capiamo il movimento [l’ISIS] e, fino a che  non lo capiremo, non riusciremo a sconfiggerlo…Noi non riusciamo neanche  a capire l’ideologia”.

Gen. Nagata, Comandante  Forze US in M.O. nel 2014 ( anno di autoproclamazione del Califfato)

Negli ultimi venti anni la quantità di pubblicazioni, articoli, analisi relative al jihadismo ed ai temi connessi (estremismo islamico, terrorismo di matrice islamica, radicalizzazione, etc.) è cresciuta in maniera esponenziale. Questa “iperproduzione” ha però evidenziato, nella sua globalità, alcune criticità epistemologiche che ne limitano e ne appiattiscono la validità analitica e, quel che è più grave, condizionano negativamente la comprensione e, conseguentemente, le potenzialità di lotta al fenomeno (jihadismo) ed ai suoi epifenomeni devianti (radicalizzazioni, attività terroristiche).
Tali criticità epistemologiche possono essere così riepilogate: da un lato, le criticità nel linguaggio  e  nell’ uso  di concetti ed  istituti islamologici; dall’altro lato le criticità derivanti dalla limitata, per quantità e qualità, trattazione di quello che è  il vero “motore primo” del fenomeno: l’ideologia islamico-radicale (tale criticità si evidenzia a fronte invece di una diffusa iper-trattazione delle  manifestazioni più evidenti, tangibili ed eclatanti del fenomeno – es. attentati, proclami di minaccia, video violenti, Foreign Fighters, radicalizzazione nelle carceri o nelle periferie europee, etc).
E’ evidente che ciascuna di tali criticità meriterebbe una approfondita analisi specifica che andrebbe ben oltre gli spazi di un articolo, qui ci porremo semplicemente lo scopo di fornire al lettore, specie se professionalmente interessato alla materia, almeno una consapevolezza critica e qualche indicazione per risolvere o quanto meno attenuare tali criticità.

Criticità nel linguaggio e nell’uso di concetti islamologici

Il linguaggio costituisce la “materia prima”, i mattoni con cui si costruiscono analisi, articoli, saggi, rapporti; esso acquista poi un fondamentale, e talvolta drammatico, ruolo in tutte  le  materie con alta valenza ideologica. Purtroppo, dopo l’11 settembre tutti i temi afferenti in qualche modo all’estremismo islamico sono stati oggetto  di una vera e propria “inflazione terminologica”, per lo più disordinata, che ha  portato ad una “panoplia” di termini il cui significato è spesso tutt’altro che chiaro, univoco, talvolta contraddittorio, con frequenti polisemie e con usi  talvolta disinvolti e superficiali.  Il panorama dei termini più usati è oggi molto vasto ed è comune a varie lingue in quanto tali termini ormai più che tradotti sono semplicemente traslati nelle varie lingue  e troviamo: jihadismo, islamismo, fondamentalismo, radicalismo, integralismo, salafismo, salafismo-jihadista, islam politico, estremismo islamico, terrorismo islamico, terrorismo jihadista, religious violent extremism, etc..
Si riportano alcuni esempi delle criticità relative a tali termini.
Il termine fondamentalismo si riferisce ad un movimento cristiano degli inizi del XX secolo per cui la sua applicabilità  all’Islam è quanto meno molto discutibile.
Il termine islamista da sempre, anche in altre lingue, ha indicato esperti ovvero studiosi del mondo islamico ma da qualche anno viene invece usato per indicare  soggetti radicalizzati o dell’estremismo  islamico; circa il termine “islamismo” è emblematica la proposta del Professor Mozaffari, iraniano,  del Centro Studi sulla Radicalizzazione danese, che dopo approfondita analisi ne propone provocatoriamente l’abbinamento alla metafora UFO definendolo URO (“Unidentified Religious Object”).
Circa i termini radicalizzazione e radicalismo un recente documento dell’Europarlamento evidenzia  che “non è usato in maniera uniforme nelle scienze sociali” ed è spesso usato in maniera intercambiabile con altri termini, tale criticità è poi confermata da un articolo di M. Sedwick “The Concept of Radicalization is a Source of Confusion” in cui si propone addirittura l’abbandono di tale termine.
Il connubio fra criticità di linguaggio e limitate conoscenze islamologiche assume poi profili talvolta imbarazzanti e spesso misleading dal punto di vista analitico. Un esempio paradigmatico è l’uso del termine “salafiti – salafismo”, esso è infatti spesso, salvo rare eccezioni, associato tout court al jihadismo, quando non al terrorismo, dimenticando che la componente jihadista rappresenta  solo uno (e neanche il principale) dei  tre  rami di questo complesso movimento islamico con gli altri due rami che non condividono in alcun modo strategie di violenza.
Infine il termine jihadismo – jihadista, che meriterebbe un’ampia trattazione specifica. Secondo alcune fonti esso è stato veicolato dopol’11 settembre per “estensione “ dell’uso del termine jihadi (molto usato nella letteratura islamico radicale) e con una infelice quanto fortunata fusione fra il  termine jihad ed il   suffisso inglese “ism”, da cui “jihadism”. Di esso oggi troviamo varie definizioni non sempre convergenti ed alcune anche decisamente discutibili. Il Terrorism Center della US Academy di  West Point in una pubblicazione del 2006 addirittura ne proponeva la sostituzione col termine “Qutbism” per indicare il collegamento, peraltro corretto,  col pensiero dell’egiziano Sayyid Qutb (v. infra). È da ricordare che il termine jihad è uno dei più controversi in islamistica, esso  indica prioritariamente uno sforzo per la fede (Grande Jihad) e solo in via subordinata (Piccolo  Jihad) implica uno sforzo militare in chiave difensiva. Secondo il filosofo Ibn Rushd del XII sec. (noto come Averroè) l’accezione militare è solo l’ultima di quattro accezioni (jihad del cuore, della lingua, della mano, della spada). Quanto alla sua diffusa traduzione quale “guerra santa”, essa  è respinta da tutti gli islamologi,  il noto orientalista Bernard Lewis osserva che “classical arabic usage has no term to corresponding to holy war…”, mentre il Professor Campanini, uno dei massimi esperti del pensiero politico islamico,  osserva che jihad “in nessun modo vuol dire “guerra santa”. Analoghe critiche terminologiche ed ermeneutiche troviamo in altri importanti autori che hanno trattato il jihad (D.Cook , Understanding  Jihad, 2015;  Vercellin, Jihad. L’ Islam e la guerra, 1997).  Va poi detto che la radice trilittera araba del termine è j,h,d che implica il concetto di sforzo e non ha accezioni militari a  differenza della radice h,r,b da cui deriva  il termine arabo harb (guerra).
Si comprende quindi come la maggior parte dei musulmani, che non ha alcuna simpatia per il  jihadismo,  rigetti  totalmente l’uso di tale termine poiché esso abbina un concetto molto nobile dell’Islam classico (il Jihad) ad attività e gruppi terroristi, e ciò in qualche modo contribuendo ad avallare e rafforzare il richiamo ed il  potere mobilitante del jihadismo fra i giovani musulmani.
Un’analisi impietosa del tool-box terminologico usato specie nelle analisi occidentali viene poi da un saggio di Hedges P. del 2015 della Rajanatnana School of International Studies di Singapore (un centro molto attivo negli studi sul jihadismo) in cui si afferma “Essi [i termini jihadism, islamism etc] rischiano di attribuire legittimità ai terroristi…e nascondono la complessità dei fattori alla base degli eventi”.
Una delle più efficaci critiche di tale “inflazione terminologica” si è poi avuta in una recente pubblicazione di OASIS (Centro di Studi Internazionale sul dialogo interreligioso) in cui si afferma con molta chiarezza  che “…categorie quali fondamentalismo, radicalismo …diventano etichette inadeguate a descrivere fenomeni così complessi…”.
Altri esempi di usi quantomeno impropri di nozioni islamologiche si hanno coi concetti, oggi molto attuali,  di Califfato e Stato  Islamico. Circa tali nozioni sarebbe necessario avere propedeuticamente un chiaro quadro sulla scienza politica islamica, sul concetto di autorità politica nell’Islam e sull’abbinamento Stato e Fede (Dawla wa  Diin), quest ultimo assolutamente centrale nell’Islam radicale. Occorre poi citare la diffusa confusione fra Stato Islamico e concetto di teocrazia.
Sul califfato, va detto che esso implica un concetto di vicariato del Profeta (Maometto) e non è in alcun modo assimilabile al Papa nel cattolicesimo, né alla figura di re o imperatore (che in arabo hanno ben altri termini). Inoltre, il califfato di riferimento degli attuali movimenti jihadisti, in particolare l’IS (ex ISIS), non è, come spesso si pensa, il califfato Ottomano (che secondo alcune fonti non sarebbe neanche configurabile quale autentico califfato) ma quello dei Primi Quattro Califfi avvicendatisi subito dopo Maometto cosiddetti Califfi Ben Guidati (Al-Khulafa al-rashiduun) nel periodo che nell’immaginario islamico rappresenta l’età d’oro dell’Islam.
Va poi detto che la  definizione teoretica dell’istituto califfale risale a due teorici (Abu al-Mawardi  ed  Ibn Arabi, vissuti rispettivamente nell’XI e XIII secolo) e parzialmente ripresa dal palestinese  Taqi al-Nabhani nel secolo scorso, è pertanto evidente che ogni esercizio di critica o dichiarazione di illegittimità (esercizio fondamentale in una strategia di “counter-ideology”, v. infra)  dell’autoproclamazione a Califfato avvenuta nel 2014  dall’IS ex ISIS non può prescindere dalla conoscenze di tali teorie. Peraltro tali critiche, se ben formulate, avrebbero un forte effetto negativo sulla principale arma dell’IS ex ISIS, costituito proprio dal potere mobilitante universale dell’autorità califfale di cui abbiamo preoccupante esempio nella recente proliferazione dei wilayat (province affiliate dall’IS ex ISIS), dal Sahel alle Filippine, e che si è manifestata solo dopo tale autoproclamazione.
Esiste invece un concetto assolutamente fondamentale nel pensiero politico islamico-radicale che però stranamente non è quasi mai citato nella maggioranza delle trattazioni occidentali sul jihadismo: il concetto del tawhid (Unicità di Dio) che, lungi dall’avere valenze esclusivamente teologiche, assume invece una rilevante valenza politica in quanto implica l’unitarietà dell’aspetto politico, giuridico e teologico nell’Islam e fondamento quindi del citato concetto Dawla wa Diin (Stato e Fede). Non a caso questo è uno dei termini più ricorrenti nei testi e nelle denominazioni delle organizzazioni islamico-radicali (il nome originale dell’IS ex ISIS era Jama’at al-Tawhid wa al-Jihad – Gruppo del tawhid e del jihad).

IS (ISIS- ISIL- Da’ish ??) e  terrorismo

Sempre a proposito del linguaggio va citata la incomprensibile persistenza in molti testi ed analisi dell’uso dell’acronimo ISIS.  Il vecchio nome arabo associato all’acronimo ISIS (Dawla Islamiyya fii Iraq wa Sham, da cui ISIS o ISIL o Da’ish)  fu infatti  cambiato nel 2014 in Dawla Islamiyya – Islamic State (IS) in coincidenza con l’ autoproclamazione del Califfato e ciò proprio in aderenza al principio del Califfato Universale cui essi si ispirano e che sarebbe stato del tutto incompatibile con la limitazione geografica inclusa nel vecchio nome ISIS – ISIL – Da’ish (Iraq e Sham-Levante). L’uso di questi ultimi acronimi è quindi sbagliato sia sotto il profilo formale che storico, sostanziale e dottrinale, peraltro la citata diffusione dei vari wilayat (province) non avrebbe alcuna valida base dottrinale se  associata al vecchio nome ISIS.
Per finire solo un cenno alle enormi criticità associate al termine “terrorismo”, queste meriterebbero, da sole,  una lunga trattazione specifica, qui basti ricordare che questo termine, relativo ad un fenomeno che tutti si affannano a definire “globale e transnazionale”, non ha invece ancora trovato alcuna definizione condivisa a livello globale e transnazionale. Ciò a fronte di oltre 250 definizioni ufficiali (Routledge Handbook of Terrorism Research) nel mondo, è evidente che tale alto numero di definizioni “ufficiali” indica solo che questo è un termine tutt’altro che ben definito.
Sempre sul concetto di “terrorismo” (in arabo irhabfr) sarebbe di notevole interesse leggere gli scritti di uno dei principali teorici islamico-radicali, il siriano Abu al-Turtusi, vivente, per  uscire dalla persistente, e talvolta analiticamente miope, autoreferenzialità occidento-centrica nell’uso di questo termine tanto più se  in riferimento a soggetti “islamici”.

Criticità nelle analisi dell’ ideologia islamico-radicale

L’importanza dell’ideologia quale vero “motore primo” e principale risorsa del jihadismo non sarà mai abbastanza enfatizzata, sorprende quindi come essa sia pressoché trascurata nelle varie analisi  a vantaggio spesso di lunghe e dettagliate trattazioni delle modalità tecnico-tattiche terroristiche o delle statistiche sugli attentati, delle percentuali di territori controllate o perse, delle ipotesi, e spesso dietrologie, sui finanziamenti o altri elementi tecnico-organizzativi. Tutti elementi di rilievo, ma è solo l’ideologia che fornisce al jihadismo la sua arma più potente che è il potere identitario, mobilitante e rivoluzionario derivante dalla sua ideologia. L’importanza dell’ideologia è stata sancita autorevolmente sia nel Final Report della  Commissione USA dell’11 settembre  (“il nemico non è il terrorismo…non è l’Islam… il nemico va ben oltre al-Qa’ida per includere l’ideologia radicale”)  sia in uno studio propedeutico del 2002 (Biddle S. “Il nostro nemico non è il terrorismo ma l’ideologia radicale di al-Qa’ida, lo scopo della nostra guerra deve essere la sconfitta di questa ideologia… se non ci riusciamo tutti gli sforzi contro il terrorismo falliranno”) sia in numerose altre fonti. Ma a fronte di tale fondamentale importanza essa rimane la “Cenerentola” nella sterminata letteratura relativa al jihadismo. Una trattazione completa ed esaustiva dell’ideologia riferibile al jihadismo richiederebbe vari volumi ed è quindi qui improponibile, ma si può tuttavia indicare un panorama di riferimento che, con l’ausilio di un adeguato impegno islamologico, dovrebbe necessariamente toccare i seguenti temi ed  autori:
– conoscenze generali di islamistica e di storia islamica,
– un percorso dell’evoluzione del pensiero islamico-radicale che tocchi seppure sinteticamente: Ahmad ibn Hanbal  (IX sec., fondatore della scuola hanbalita, la più tradizionalista  fra le quattro scuole giuridiche dell’Islam), Ibn Taymiyya (XII sec., che ha avuto una enorme influenza sul pensiero islamico-radicale anche contemporaneo), il wahhabismo (almeno nelle sue basi ideologiche risalenti al XVIII secolo), Jalal  al-Afghani (XIX sec., pensatore salafita e principale teorico del panislamismo contemporaneo), la Fratellanza  Musulmana (movimento nato in Egitto nel 1928 e che si è poi espanso in decine di paesi ), Ali Ala al-Mawdudi (XX sec., indiano,  il primo in età moderna a parlare del concetto di Stato Islamico e del concetto di  teodemocrazia);
– un percorso che analizzi, seppure sinteticamente, il pensiero dei principali teorici e  “strategists” riferibili oggi al pensiero del jihadismo contemporaneo:  l’egiziano Sayyid Qutb (1906 -1966), già citato, condannato a morte da Nasser, considerato il maitre-a penser dell’estremismo islamico, e che ha in particolare introdotto il concetto di hakimiyya (governo di Dio, concetto assolutamente centrale per la prospettiva di uno Stato Islamico) ed una  rivisitazione in chiave  offensiva del concetto di jihad; circa la vera influenza di Qutb sul jihadismo contemporaneo esistono vari pareri, ma è indubbio che egli sia un riferimento cardine del pensiero islamico-radicale;
– il palestinese Taqi al-Nabhani (1903 – 1977), fondatore dell’ Hizb ut-Tahrir (Partito della Liberazione ancora attivo in vari paesi con sede in Gran Bretagna), l’unico in età contemporanea ad aver teorizzato uno schema costituzionale ed organizzativo di un possibile Stato islamico retto da un Califfato ( cosa poi realizzata, seppure con proprie interpretazioni, dall’IS ex ISIS);
– il palestinese  Abdullah ‘Azzam ( 1941-1989), il vero artefice del jihad antisovietico in Afghanistan, considerato il vero ideologo di al-Qa’ida (il contributo sul piano ideologico di Osama bin Laden è stato alquanto modesto) e che ha introdotto il concetto di jihad quale obbligo individuale (fard ‘ayn) ed ha rivalutato il concetto di martirio ;
– il siriano, con cittadinanza spagnola, Abu Mus’ab al-Suri, vivente , catturato nel 2005 ma di cui non esistono conferme circa l’attuale posizione, definito “The Architect of Global Jihad”,  teorico dell’ “individual jihad” ( “lupi solitari”) e le cui teorie sono state accostate alla 4th Generation Warfare –4thGW: il suo testo di 1600 pagine “Global Islamic Resistance Call” è  considerato, insieme a “Management of Savagery”  di Abu Bakr Naji (di incerta identità), uno dei testi  fondamentali dell’ideologia e strategia del jihadismo contemporaneo;
– infine il giordano-palestinese Abu Muhammad al-Maqdisi, vivente, considerato uno degli autori  più citati, letti ed  autorevoli del pensiero islamico radicale contemporaneo;  ‘Abd al-Salam Faraj  (il principale responsabile della deriva interpretativa radicale del  jihad, e fra gli organizzatori dell’attentato al  Presidente Sadat) e  Yusuf al-Qaradawi, vivente, il più recente teorico dello Stato Islamico.

La “Counter- ideology”

Nei diciotto anni di Global War On Terrorism  sono state formulate  varie (forse  troppe)  strategie di contrasto al jihadismo, al terrorismo di matrice islamica, ai fenomeni di radicalizzazione. Il bilancio di tali strategie ad oggi non autorizza eccessivi entusiasmi, basti ricordare che tutte le principali fonti di Intelligence o di analisi di medio-lungo termine prevedono la persistenza di tali fenomeni ancora per alcuni decenni e confermano la presenza di varie migliaia di soggetti radicalizzati in Europa. E’ ovvio che queste strategie devono essere necessariamente complesse e “comprehensive” e possibilmente non limitarsi allo strumento militare, poiché questo, da solo, si è dimostrato non risolutivo. Sta quindi emergendo una forma di contrasto al jihadismo e fenomeni associati che si basa proprio sulla consapevolezza dell’importanza dell’ideologia, così come già sopra ricordato, da cui il termine “counter-ideology” che solo in prima approssimazione può intendersi quale esempio del vecchio concetto di “Information Warfare”.  Il concetto di base è colpire il jihadismo e la radicalizzazione colpendo la legittimità e la credibilità delle loro devianti interpretazioni teoretiche e dottrinali rispetto all’Islam medesimo.  Con adeguati sforzi analitici alcuni autori hanno già evidenziato le discrepanze e le distorsioni teoretiche del jihadismo rispetto non solo al pensiero islamico classico ma anche rispetto ai teorici sopra citati (in particolare Qutb ed ‘Azzam) presi quali frequenti riferimenti in molti proclami e testi del jihadismo degli ultimi anni. Ciò considerando in particolare che il jihadismo nasce principalmente da distorsioni interpretative del concetto di jihad nell’ esegesi coranica e della  sunnah.
In tale quadro appare ovvio che una efficace e credibile strategia di “Counter-ideology” non può prescindere da una seria conoscenza dell’ideologia da contrastare e degli strumenti teoretici che possano consentire tale strategia di contrasto. Occorre in altri termini ricordare un autorevole “warning” del già citato Professor Campanini, secondo cui la banalizzazione del jihadismo “è un rischio che non ci si può permettere di correre”.

*Generale di Divisione (ris.), Dottore in Scienze Politiche ad indirizzo islamico presso l’Orientale di Napoli. Ha ricoperto vari incarichi in organizzazioni internazionali in Medioriente.